Fiac, ovvero il mondo a portata di mano…

Forum Internazionale di Azione Cattolica, ovvero come avere buona parte del mondo a portata di mano, all’improvviso. Tocchi con mano la diversità, tocchi con mano la concreta possibilità di comunione. Ma resti in silenzio, e osservi, e guardi e non ti azzardi nemmeno a provare il tuo inglese, e nemmeno ad approfittare della traduzione simultanea, perché la realtà che ti si presenta, va prima di tutto contemplata. Sulla carta avevi già letto l’elenco dei paesi presenti, più di 50: europei, africani, asiatici, americani. Ma quando poi davanti ti trovi i volti, comprendi di non aver capito un fico secco. Ma ci sei lì, e non solo per te, e allora te la giochi e approfitti dell’abitudine al discernimento, appresa proprio in Ac. E vivi quei giorni intensi, fatti di camminate da una zona all’altra, di lingue che si intrecciano, fra ‘r’ moscie, ‘sh’ napoletane, ‘tambien’ spagnoli – sta parola m fa murì, non so perché – e suoni nuovi che al massimo hai ascoltato con disattenzione in tv. Giorni fatti di riflessioni e resoconti sul triennio trascorso, di testimonianze diocesane – quella di suor Rosaria Carpentieri e dei coniugi Miano – e non, di esperienze missionarie, come quella al Bambin Gesù di Roma il cui operato potrebbe essere usato come prova a dimostrazione del fatto che la fede non esclude l’uso della ragione, non mortifica la natura, non considera la superstizione il rimedio alla malattia. Vivi quei giorni e ti senti parte di qualcosa di grande: non una struttura, non un’organizzazione. Ti accorgi che c’è un’umanità che crede e spera e che si sporca le mani, davvero, per un mondo a misura d’uomo. Perché le Ac degli altri paesi hanno storie più recenti ma contesti di esistenza più difficili di quella italiana che pure, negli ultimi venti anni, ha visto il Paese scivolare sempre più verso il caos. E capisci, capisci che il futuro presente è davanti a te: se il sogno europeo sembra essere condotto al patibolo da una classe dirigente incapace di partire dal reale e dal desiderio e bisogno di giustizia che questo chiede, il Fiac è la prova che la diversità può essere una forza e che è possibile camminare e raggiungere obiettivi con reciproca sollecitudine e prodiga solidarietà. Per quanto varie, nel concreto, siano le speranze e le angosce degli uomini e delle donne dei paesi convenuti a Roma, per tutti, alla base c’è un desiderio di felicità e un diritto alla dignità: tutte le Ac lavorano, con la propria Chiesa locale, perché il primo sia custodito e il secondo garantito. Un impegno che non può essere limitato al proprio orticello, ma, viene fuori dal contesto del Fiac, va fatto in un’ottica internazionale, nella prospettiva che il ‘mio’ impegno per il bene si riverserà oltre i confini del mio paese; che la ‘mia’ risposta alle angosce e alle speranze del ‘mio’ popolo possono essere sprone anche per le risposte di altri popoli; che l’ottica internazionale del ‘mio’ impegno è necessaria anche per accogliere quei popoli che fuggono dalle proprie terre, anche perché vengano accolti quelli del ‘mio’ popolo che fuggono dalla propria. Un fuggire che è un portarsi dietro sempre e comunque quel desiderio di felicità e quel diritto alla dignità prima ricordati: non lo dimostra forse il salmo ritrovato sul fondo di un barcone di profughi, e consegnato a papa Francesco il 27 aprile in occasione del suo intervento al Congresso? E non conferma che sia questo l’orizzonte nel quale debba muoversi l’Azione Cattolica del futuro, il fatto che il successore di Pietro abbia scelto un contesto internazionale per tenere quella che, non a torto, almeno in nuce, è un’enciclica sul laicato? Destinatari del discorso del Santo padre non sembravano essere solo gli italiani, non solo l’Azione cattolica italiana di cui ricorrevano i 150 anni di età. Ha chiesto Francesco ai laici di essere tra la gente, di agire incarnandosi nella diocesi e nella parrocchia, di testimoniare la fede con la gioia che viene dal Vangelo, abbandonando strutturalismi e vesti clericali. Ha invitato ad andare incontro al mondo per accompagnare il suo cammino verso il bene al quale è orientato, e di farlo non fermando le persone per chiedere perché non credano in Cristo ma ascoltandole, accogliendole e, raccontando il perché della nostra fede, del nostro essere cristiani, trovare con loro le risposte. Un invito alla missione che è anche invito ad una continua conversione: “Formate: offrendo un processo di crescita nella fede, un percorso catechetico permanente orientato alla missione, adeguato a ogni realtà, basandovi sulla Parola di Dio, per animare una felice amicizia con Gesù e l’esperienza di amore fraterno. Pregate: in quella santa estroversione che pone il cuore nei bisogni del popolo, nelle sue sofferenze e nelle sue gioie. Una preghiera che camini, che vi porti molto lontano. Così eviterete di stare a guardare continuamente voi stessi. Sacrificatevi: ma non per sentirvi più puliti, il sacrificio generoso è quello che fa bene agli altri. Offrite il vostro tempo cercando come fare perché gli altri crescano, offrite quello che c’è nelle tasche condividendolo con quanti hanno meno, offrite generosamente il dono della vocazione personale per abbellire e far crescere la casa comune”. Qualunque sia il campo d’azione, la risposta va dunque assolutamente data in un’ottica di servizio, secondo quella “passione cattolica” dal papa richiamata al termine dell’intervento che, non a caso, se da un lato richiama il vivere con ardore la propria fede, “primeando”, non standosene tranquilli in poltrona, dall’altro richiama il cammino di Gesù verso la croce, scandalo per molti, ma prova d’amore per i suoi apostoli.

Mariangela Parisi

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