Franco Miano e Pina De Simone, entrambi ex presidenti dell’Ac diocesana, sono stati nominati tra gli “esperti” che affiancheranno il segretario speciale del Sinodo sulla famiglia, mons. Bruno Forte. Con loro, entriamo dentro questo grande ed atteso evento di Chiesa che inizierà tra pochi giorni.
Quello della famiglia è sicuramente un tema sensibile perché tocca la vita di ognuno. C’è pertanto grande attesa rispetto al Sinodo straordinario che inizierà tra pochi giorni.
Già la traccia, l’Instrumentum laboris consegnato qualche mese fa all’attenzione della Chiesa universale, non propone una trattazione astratta perché muove piuttosto dall’esperienza comune. Già in quel testo si avverte con chiarezza la volontà di porsi in ascolto di questa esperienza per aiutare a leggerla alla luce del Vangelo. L’Instrumentum, infatti, nato da una consultazione dall’inedita ampiezza, ha aperto lo sguardo aiutando ad attraversare la complessa e variegata realtà della famiglia con un’attenzione che non si ferma unicamente alla cultura occidentale ma tiene conto della estrema varietà delle situazioni culturali a livello mondiale. È uno sguardo che non nasconde le difficoltà, rilevate anzi con grande onestà e rigore, e le prospetta con puntualità ed estrema concretezza. Ma è anche uno sguardo che sa andare oltre l’evidente problematicità, per cogliere il crescente desiderio di famiglia presente nel nostro tempo, e dunque il valore con cui ancora viene percepita questa fondamentale esperienza, nella convinzione che le difficoltà non delimitano in maniera assoluta e univoca l’orizzonte della famiglia.
Dinanzi alla crescente fragilità ma anche al desiderio di famiglia, la Chiesa avverte la responsabilità di annunciare il Vangelo della famiglia. C’è bisogno di raccontare di nuovo e con un linguaggio nuovo la bellezza dell’essere famiglia. Si tratta di aiutare a ritrovare il senso della famiglia nel disegno d’amore di Dio per l’uomo riscoprendo la famiglia come manifestazione di questo stesso amore. Le famiglie non possono essere lasciate da sole. Hanno bisogno di essere accompagnate, sostenute nel loro impegno, accolte nelle diverse esigenze delle stagioni della vita. Non bastano i corsi di preparazione al matrimonio. Accogliere e sostenere le famiglie vuol dire fare delle famiglie il criterio per ripensare la pastorale, i tempi, i luoghi, le modalità perché siano accoglienti della vita delle persone. Vuol dire, per la Chiesa, riscoprirsi famiglia, famiglia di famiglie e proprio per questo capace di non escludere nessuno. La famiglia deve poter diventare protagonista della vita della Chiesa, soggetto e non semplicemente oggetto della pastorale. Occorre arginare la tendenza ad una esasperata privatizzazione che a lungo andare è motivo di disorientamento e di angoscia aiutando le famiglie a sentirsi inserite in una rete di relazioni che sostiene ma che chiede anche di essere assunta con rinnovata responsabilità. Va in questa direzione l’invito a riscoprire la dimensione sociale della famiglia. Si tratta di porre la famiglia al centro della vita sociale esigendo un cambiamento di rotta delle politiche ma anche un più chiaro protagonismo della famiglia stessa.
In questa bellissima avventura noi siamo stati coinvolti in quanto laici impegnati nell’Azione cattolica e negli organismi di coordinamento della pastorale diocesana. È un grande onore, che condividiamo con tutti gli amici e le famiglie che hanno accompagnato la nostra vita. Ma più del nostro coinvolgimento, conta il coinvolgimento generale dei laici. La riflessione non riguarda soltanto i vescovi e neppure solo gli operatori di un determinato settore della pastorale ma è estesa a tutto il popolo di Dio. Un ruolo fondamentale giocano in questo contesto anche le associazioni, i gruppi e i movimenti e, attraverso di loro, i laici.
La sfida fondamentale riguarda il modo di intendere le relazioni e per certi versi la possibilità stessa della relazione. La famiglia è il luogo delle relazioni per eccellenza ed è normale che per questo sia investita della difficoltà a vivere le relazioni che è del nostro tempo. Così anche la famiglia sembra essere segnata dal senso della precarietà, della frammentarietà e soprattutto da una certa tendenza alla privatizzazione. Apparentemente si è più liberi di scegliere, le relazioni sono più mobili, più intense ma anche estremamente più fragili. Rivendicare lo spazio delle relazioni affettive come assolutamente privato rischia infatti di confinare i legami più forti della vita in uno spazio che,sottratto ad ogni riferimento normativo e a ogni dimensione istituzionale, si rivela spesso come il luogo di una solitudine che genera smarrimento e talvolta angoscia. La famiglia ha bisogno di riscoprirsi come realtà di relazione dentro una rete di relazioni.
Quando si parla di famiglia, infatti, non se ne può parlare soltanto in termini di diritti e tanto meno unicamente di diritti individuali. La famiglia è luogo sorgivo della responsabilità. In famiglia si impara a vivere e a pensarsi in relazione e dunque a vivere e a pensarsi come capaci di rispondere alla domanda che mi viene dall’altro. Senza responsabilità non c’è relazione autentica. Piuttosto che parlare semplicemente di ciò che dovrebbe essere garantito al singolo occorrerebbe prima di tutto interrogarsi su quali siano le responsabilità legate all’essere famiglia, che cosa implichi l’essere padre, madre, figlio, fratello, che cosa è in gioco nei legami che fanno la famiglia ma che fanno anche la nostra identità di esseri umani. Il Vangelo, in tal senso, non è una sorta di verniciatura per le famiglie cristiane faticosamente tenuta insieme in un contesto che va in tutt’altra direzione. È piuttosto annuncio di vita e di umanità piena che aiuta a comprendere il senso profondo di ciò che siamo e di ciò che viviamo e da cui anche chi non crede può lasciarsi interrogare.
Siamo consapevoli che alcune questioni spinose – come l’accesso ai sacramenti delle persone divorziate e risposate – catalizzeranno le attenzioni dei media. Ma crediamo sia molto più importante e decisivo che dal Sinodo emerga un’indicazione di stile che va oltre questa specifica e pure importante questione. È l’indicazione di uno stile di accoglienza incondizionata, nello stile di papa Francesco. Nessuno deve sentirsi escluso o ai margini nella vita della Chiesa. Ed è ancor più l’indicazione di uno stile di ascolto e di misericordia, quella misericordia che fascia le ferite perché il cammino riprenda e non ci si accasci sotto il peso della sofferenza, quella misericordia che si fa attenzione alla storia di ciascuno e che fa avvertire la Chiesa come madre, comunità di fratelli che sostiene il passo di ognuno quando questo si fa incerto. Se questa capacità di accoglienza, di ascolto, di attenzione diventerà nelle nostre comunità stile quotidiano e diffuso si apriranno sicuramente spazi nuovi di riflessione e di ricerca.