Ma cosa è successo in questa settimana?
Voti, referendum, “prove di democrazia”… di cosa si tratta?
Evidentemente non si tratta di consultazioni “tradizionali”. Tanto è vero che non ci sono arrivati cumuli di volantini, non ci sono stati infiniti “faccia a faccia”, non si va nei seggi usuali ma in luoghi decisamente anomali rispetto all’idea solita del “voto”.
In breve:
- in questa settimana si è svolto un referendum aperto a tutti i lavoratori e ai pensionati, svoltosi all’interno dei luoghi di lavoro e nei sindacati;
- domani, domenica 14 ottobre, si terranno le “primarie” per l’elezione del nuovo segretario del nascente Partito democratico.
Partiamo da questo secondo voto per capirlo meglio. Due grandi partiti del centrosinistra, i Ds e la Margherita, hanno deciso di dar vita, insieme ad altre componenti della “società civile” (persone, associazioni e movimenti fuori dal sistema dei partiti), ad un nuovo soggetto politico: il Partito democratico. Un partito che vuole porsi come punto di riferimento del centrosinistra che sarà. Ora, coloro che hanno dato vita a questa realtà hanno voluto che a scegliere il primo segretario (segretario in politica vuol dire “il capo”) direttamente ai cittadini.
Il metodo è quello delle “primarie”: chi volete che guidi il Pd? Decidetelo voi, sapendo che poi questa persona dovrà condurci nella sfida al centrodestra durante le prossime campagne elettorali. Quindi domenica 14 ottobre bisognerà scegliere il leader del Pd tra 5 persone: Walter Veltroni, Rosy Bindi, Enrico Letta, Mario Adinolfi, Piergiorgio Gawronski.
Il primo, sindaco di Roma e già a capo dei Ds negli anni ’90, è il grande favorito, perché pienamente supportato da Ds e Margherita.
Rosy Bindi è esponente della Margherita e attuale ministro della Famiglia, proviene dalla tradizione cristiano-sociale. È la rivale più agguerrita di Veltroni, e ha puntato molto in queste settimane su un’idea di Pd che non fosse la replica dei partiti “burocratici”.
Enrico Letta è sottosegretario della presidenza del Consiglio, anch’egli Margherita, certamente liberale, la sua campagna è basata sul rinnovamento della classe dirigente, essendo lui stesso un 40enne in ascesa.
Mario Adinolfi è un nome nuovo, poco più che trentenne, che ha dato vita ad esperienze definite di “democrazia diretta”, di maggiore partecipazione dei cittadini.
Piergiorgio Gawronski è un economista esperto di dinamiche globali ed internazionali, e punta su un profondo rinnovamento delle istituzioni.
Ma chi deve andare a votare? Ragionando in soldoni, si potrebbe pensare che la consultazione si rivolge semplicemente a chi voterà poi il Pd o a sinistra. Ma il bello delle primarie è che in realtà il voto è aperto a tutti, anche a chi non si rivede in questo nuovo partito. Cosa dovrebbe muovere un cittadino ad andare a votare? Semplicemente, il fatto che il futuro segretario del Pd sarà un protagonista della vita politica dei prossimi anni. A prescindere da tutte le ideologie e le preferenze personali, dunque, ciascuno di noi può giustamente ritenere che nei partiti debbano starci le persone che più riteniamo idonee alle responsabilità. E quindi uno di destra può andare alle primarie di sinistra e viceversa (del resto potrebbe essere che dopo Berlusconi anche il centrodestra possa ricorrere alle primarie). Nel voto di domenica, inoltre si voteranno anche i “responsabili” regionali del nuovo partito, che si sono organizzati in liste a seconda del candidato nazionale che appoggiano.
Torniamo al primo voto. Circa 5 milioni di lavoratori e pensionati sono andati ad esprimersi sul cosiddetto “protocollo sul Welfare”. In sostanza, si tratta di un accordo tra governo, sindacati e Confindustria sulle riforme che bisogna fare in termini di pensione, lavoro, reddito… Insomma, i sindacati l’hanno firmato, ma poi lo hanno sottoposto ai lavoratori per vedere se lo accoglievano positivamente. In effetti i sindacati hanno dovuto “mediare”, e dunque era forte il timore che alla base l’impostazione non piacesse. Del resto il protocollo ammorbidisce ma non elimina il precariato, accetta un innalzamento dell’età pensionabile. Ebbene: l’82 per cento ha detto “si”. Un risultato importante, che per molti dimostra come operai, impiegati, dirigenti… i salariati in generale abbiano capito il valore del compromesso e di piccoli concreti passi in avanti.
Cosa ci dicono questi due “strani” voti?
Ci fanno riflettere sulla cosiddetta “democrazia diretta”. Cinque milioni di lavoratori sono tanti. Anche le primarie faranno registrare numerose presenze. Insomma l’idea di essere chiamati in causa piace, l’idea che il proprio voto influisca sulle scelte concrete ha un significato da non trascurare. In sostanza, attraverso questi voti si sostituisce per quello specifico tema il principio della delega e della rappresentanza. Finora, queste esperienze di consultazione senza veli ha dato sempre effetti numerici significativi. Certo non bisogna abusarne, altrimenti ne verrebbe meno il valore delle Istituzioni democratiche che sono destinate a prendere decisioni e dare orientamenti. Ma il messaggio è chiaro: la partecipazione non è morta, ma, al contrario, essa ha bisogno di essere alimentata coinvolgendo le persone nelle scelte che contano.
Marco Iasevoli