Passare per crescere – il racconto di Martina

Il Convegno nazione degli educatori Acr, tenutosi lo scorso week-end tra Roma e Sacrofano, intitolato “Passare per crescere”, ha posto l’attenzione sui riti di passaggio nella vita dei ragazzi e quale sostegno e accompagnamento, noi educatori, possiamo dare loro.

Passare: voce del verbo lasciare che, a sua volta, è l’infinito del verbo crescere.

Con questa citazione, Mons. Gualtiero Sigismondi (Assistente Generale dell’Azione Cattolica Italiana), ha aperto la sua riflessione sui passaggi, identificandoli in sconvolgimenti emotivi e affettivi. Ogni passaggio è un esodo che aiuta a scoprire il proprio mondo interiore, fatto di insidie e fragilità.

Ma il passaggio è davvero compiuto solo quando siamo capaci di abbandonare ciò che eravamo prima; per tale motivo, cresce solo chi impara a lasciare, soprattutto lasciare sé stessi.

E noi educatori, cosa possiamo fare durante i passaggi di vita dei nostri ragazzi?

Siamo chiamati ad aiutarli a non avere paura e ad avere fede, avere fiducia nella vita. Un po’ come un bambino che fidandosi salta dal tavolo tra le braccia del padre, perché prima di credere in qualcosa (le braccia che impediscono id cadere, bisogna sempre credere in qualcuno (il padre o l’educatore).

Pertanto, il fine dell’educatore è guidare il l’uomo nello sviluppo dinamico, durante il quale, egli si forma in quanto persona umana. Tra l’educatore e il ragazzo si crea un rapporto inversamente proporzionale, al crescere del ragazzo corrisponde il ridursi dell’educatore; perché l’educazione è un processo a termine, di conseguenza, l’autorità educativa tende a dissolversi col passare del tempo.

Possiamo, quindi, tranquillamente affermare che, il fine dell’educatore è rendersi “inutile”, considerando che li accompagniamo nella costruzione della propria autonomia personale e nella consapevolezza di appartenere ad un contesto che supera la pura dimensione individuale.

A passare, però, sono loro, non ci possiamo sostituire, anche se spesso siamo tentati di farlo, anche solo per proteggerli da ciò che temiamo potrebbero incontrare.  Al contempo, però, notiamo che i passaggi non di vivono mai da soli. Il gruppo è un luogo, un’occasione per i ragazzi di uscire da sé stessi, sintonizzarsi con gli altri. Solo camminando insieme non viene a mancare la luce necessaria per il passo successivo.

In conclusione, noi educatori dobbiamo fare provvista di esperienze, di incontri, di relazioni, di scoperte e di conquiste. Non sappiamo bene quando e come ci potranno aiutare ad accompagnare i ragazzi in quei momenti inediti e sconvolgenti che sono i passaggi di vita, ma sapremo di camminare insieme a loro e per loro, per far sì, davvero, che passare voglia dire crescere.

Dunque, dovremmo acquisire una visione più attenta e prospettica, dovremmo imparare a “riuscire a vedere nella melanzana la parmigiana”, ossia vedere il presente a partire dal futuro.

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