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Carissimi sorelle e fratelli dell’Azione Cattolica della chiesa di Nola,
a voi il mio pensiero di vicinanza e d’affetto al culmine di quest’anno, centenario della nascita dell’associazione nella nostra diocesi. Vi scrivo proprio mentre, in questa ricorrenza giubilare, vi preparate a celebrare la “Festa dell’adesione”, sotto lo sguardo della Vergine Immacolata, porta dell’Avvento, che nel suo materno “Sì” raccoglie e sostiene la vostra personale corresponsabilità per un progetto di vita che esprime – più di ogni ideale umano – quella scelta battesimale di collaborare come associazione nella chiesa all’opera della salvezza in Gesù Cristo. Voi sapete che il segno della tessera non è come l’iscrizione ad un’aggregazione politica o sindacale e neppure ad una generica associazione di volontariato; piuttosto, essa ravviva in voi annualmente la memoria e gli impegni assunti nel Battesimo e nella Cresima e, con ancor più consapevolezza, vi intesse come in un mosaico all’interno di quella immagine bella di chiesa, come essa esce “senza macchia” dal Cenacolo nel giorno di Pentecoste. Pertanto l’Adesione definisce visibilmente il vostro impegno come “essenzialmente religioso apostolico, comprende la evangelizzazione, la santificazione degli uomini, la formazione cristiana delle [vostre] coscienze in modo che [riusciate] ad impregnare dello spirito evangelico le varie comunità ed i vari ambienti” (Statuto, art. 2).
Il tesseramento di quest’anno, come sappiamo, verrà vissuto nelle necessarie restrizioni e nei limiti di questo periodo. Sarà certamente un appuntamento diverso dal passato e comprendo la vostra sofferenza che è anche la mia, ma non sarà meno intenso, proprio perché è realtà interiore dello Spirito e non solo formale. Come ho più volte richiamato in questi mesi e scritto nella mia Lettera pastorale, siamo stati tutti umiliati nei nostri programmi e nelle nostre sicurezze. Il virus ha cancellato tutti gli impegni, i ruoli consolidati, le abitudini per cui potevamo cercare di fare come sempre e adesso non possiamo più dire che faremo come prima! Abbiamo lasciato tante cose inutili e possiamo ripartire dall’essenziale. In quest’emergenza sanitaria e con quanto ne sta scaturendo, ci siamo accorti che molti avvertono stanchezza e delusione, disincanto e preoccupazione. Sperimenterete, forse, anche qualche defezione in più; qualcuno non se la sentirà di rinnovare per adesso il proprio “eccomi”.
È per questo che vi esorto a non perdere l’entusiasmo della speranza, a ravvivare il coraggio di una scelta che deve essere in controtendenza con la paura, lo sconforto e lo scoraggiamento. Ne siete capaci e lo avete già dimostrato sia con la creatività e la collaborazione pastorale nel primo lockdown, sia nello scorso mese di giugno, allorquando con determinazione e rispettando i protocolli di sicurezza, in presenza e sulle piattaforme digitali, vi siete ritrovati con il Vescovo e con tutti per la festa unitaria del centenario. Ho ancora nel cuore la gioia di quell’evento che ci ha aperti alla gratitudine del passato, proprio mentre vivevamo le incertezze per il futuro. Per tutto il vostro impegno – interpretando anche i sentimenti dei vostri parroci – vi sono sinceramente grato.
I vostri cento anni sono tanti nella vita della chiesa nolana; non sono solo uno spazio di tempo, piuttosto fanno riferimento alla storia di un popolo, ad eventi nei quali l’Azione Cattolica è stata presente con la testimonianza, con la preghiera, con l’azione e con il sacrificio. Sono tanti e potrebbero far pensare a qualcosa di vecchio; quasi che la stessa AC sia “vecchia”. Ma non è così, perché sono cento anni di esperienza di vita cristiana autentica, di santità e di amore per l’uomo, di servizio alla chiesa, vissuti con impegno anche fino al dono della vita. Non dobbiamo quindi farci condizionare dal peso e dal numero degli anni, l’impegno è sempre quello di guardare avanti, con spirito profetico. Eredi, dunque, di una tradizione ormai secolare, affinché non si perda la freschezza e lo slancio delle origini e la profezia per l’avvenire, desidero sostenervi con questo messaggio che racchiude alcune mie riflessioni che vi consegno per proseguire nel cammino che ci è davanti.
Il Vescovo vi scrive ora da pastore e padre, ma anche da chi nella sua vita ha vissuto dall’interno il cammino dell’Azione Cattolica, accompagnandone i diversi percorsi generazionali fino ad assumere nel passato il servizio di Assistente unitario nella sua chiesa d’origine. Anni intensi e indimenticabili che mi hanno insegnato che la qualità associativa e il suo spessore risiede nel non perdere mai di vista il valore evangelico della “scelta religiosa”, racchiuso nei principi fondamentali dell’AC: la comunione gerarchica e l’obbedienza al Papa e ai vescovi (sentire cum Ecclesia); il progetto formativo integrale fondato su Gesù Cristo e il suo vangelo, l’autentico umanesimo alla scuola del Concilio Vat. II, lo studio e la preghiera; la laicità secondo il dinamismo fondamentale della vita cristiana; l’unitarietà dell’esperienza associativa e un diffuso impegno di carità verso i deboli e i poveri.
Per questo desidero indicarvi – a partire dalla sacra Scrittura, vero nutrimento della vita credente – quella traccia per continuare il vostro cammino associativo negli anni che verranno. Spezzare per voi la Parola è il compito, anzitutto, del Vescovo e di ogni Assistente, che colgo ora l’occasione per ringraziare di cuore. Non trascuriamo mai di apprezzare quanto generosamente essi donano all’Associazione, a volte con grande sacrificio, considerando anche che ciascuno di loro è occupato in numerosi altri impegni di ministero presbiterale. Non dimenticate come Associazione il compito di pregare per le vocazioni e di intrecciare il vostro cammino con quello dei seminaristi, attraverso relazioni autentiche e significative che affezionano e realizzano oggi quella familiarità con l’AC, utile per il loro futuro ministero. Vi invito, perciò, a meditare sul racconto della Pentecoste cosi come lo leggiamo negli Atti degli Apostoli (2, 1-16).
Abitare la parrocchia per camminare al passo con la chiesa diocesana
Si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi. Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo (vv. 1-6).
La prima indicazione che troviamo nella narrazione lucana della Pentecoste riguarda l’attenzione posta su quello stesso luogo nel quale abitavano. Lo ha ricordato già la Traccia preparatoria verso il V convegno ecclesiale, In Gesù Cristo il nuovo umanesimo, tenutosi a Firenze nel 2015. La chiesa italiana in quell’occasione, a metà del decennio tematico nel quale ancora ci troviamo, volle individuare e delineare “cinque vie” verso l’umanità nuova: uscire, annunciare, abitare, educare, trasfigurare. Mi pare importante ricordarle e a partire dalla terza di queste vie, indicare la possibilità di ritrovare nella parrocchia il luogo primordiale e imprescindibile del vostro servizio nella chiesa. Non si può uscire se non si è dentro ad una realtà con la quale sentirsi mandati in missione. Non si può annunciare da battitori liberi. Non si può abitare se non si riscopre una appartenenza storica, affettiva e territoriale. Non si può educare se non si hanno dei testimoni e dei destinatari. Non si può trasfigurare la realtà sociale se non si è allenati attraverso la celebrazione comunitaria della liturgia (come ho ricordato recentemente nel mio Messaggio d’Avvento alla nostra diocesi). La parrocchia certamente vive delle difficoltà evidenti – e si va ridefinendo anche alla luce della conversione pastorale, auspicata dal recente documento della Congregazione per il Clero – ma, come vi ha detto Papa Francesco il 30 aprile 2017 per i centocinquant’anni dell’Azione Cattolica Italiana, è imprescindibile «portare avanti la vostra esperienza apostolica radicati in parrocchia. […] Avete capito bene? La parrocchia non è una struttura caduca! Perché è presenza ecclesiale nel territorio, ambito dell’ascolto della Parola, della crescita della vita cristiana, del dialogo, dell’annuncio, della carità generosa, dell’adorazione e della celebrazione».
In comunione d’intenti con il Santo Padre, sento di ricordarvi anch’io che la parrocchia è lo spazio in cui le persone possono sentirsi accolte così come sono, e possono essere accompagnate attraverso percorsi di maturazione umana e spirituale a crescere nella fede e nell’amore per il creato e per i fratelli. Vi affido, a questo proposito, il compito di meditare attentamente l’ultima Enciclica Fratelli tutti sulla fraternità e l’amicizia sociale, che perfeziona il discorso sull’abitare la casa comune, introdotto da Papa Francesco cinque anni fa nella Laudato Sii.
In secondo luogo, come per tutti, anche per l’Associazione, è insidiosa, soprattutto in questo periodo, la tentazione di riferirsi a se stessi, perseguendo le proprie attività senza inserirsi fino in fondo col pensiero e l’azione nella condivisione del più ampio cammino diocesano e parrocchiale. Ricordiamo perciò che l’Azione Cattolica, fedele alla sua natura del sentire cum Ecclesia non reclama propri spazi o propri riconoscimenti di visibilità. Per statuto non ha un suo progetto apostolico ma sposa e si fa presente in quello della chiesa locale e, quasi dimenticandosi di se stessa, ne è a servizio. Ci tengo particolarmente a sollecitarvi a camminare sempre più al passo con l’azione pastorale della Diocesi tutta, a coinvolgervi in itinerari e progetti e strutture che – pensati anche insieme con voi nei diversi organismi di partecipazione – appartengono in ultima istanza alle indicazioni che nel suo discernimento il Vescovo sintetizza e ne assume la responsabilità davanti a Dio di proporli a tutti i battezzati.
Il magistero del Papa e del Vescovo diocesano, espresso nelle encicliche, nei documenti della CEI e nelle lettere pastorali, sono, infatti, le coordinate all’interno delle quali declinate le vostre indicazioni e i vostri sussidi e maturate le vostre priorità associative. A tal proposito vi chiedo di approfondire nel prossimo futuro, secondo le indicazioni della lettera pastorale, il vostro apporto nella pastorale ordinaria alla formazione: sia alla vita cristiana (dimensione catecumenale) sia ai servizi pastorali, dando il vostro apporto a livello parrocchiale, decanale (penso anche alla futura costituzione dei Consigli Decanali), sia degli Uffici pastorali diocesani.
Ho sperimentato che camminate bene in questa direzione e vi ringrazio, tuttavia nessuno può sentirsi già arrivato nel cammino di piena maturazione ecclesiale. Siano queste consapevolezze che ho ricordato a voi, anche l’incoraggiamento per i parroci a favorire, accompagnare e istituire, dove ancora manca, una bella Azione Cattolica, completa nelle sue varie articolazioni. Questo sarà vero, però, solo se la parrocchia non si concepisca come chiusa in se stessa e se neanche l’Azione Cattolica che vive in parrocchia si chiude in se stessa, ma aiuta la comunità parrocchiale tutta affinché rimanga «in contatto con le famiglie e con la vita del popolo e non diventi una struttura prolissa separata dalla gente o un gruppo di eletti che guardano a se stessi» (Evangelii Gaudium, 28).
Ai parroci, poi, mi piace ricordare che, chiamata pastoralmente ad accogliere e promuovere al suo interno tutte le realtà e i carismi suscitati dallo Spirito Santo e riconosciuti dall’Autorità ecclesiastica, la parrocchia non può essere priva dell’Azione Cattolica, proprio perché essa, per sua natura, come si esprime il Vat. II, è essenziale partecipazione dei laici all’apostolato gerarchico (AA 20). Perciò restano intramontabili le parole di San Paolo VI che, in occasione del centenario dell’Azione Cattolica Italiana, richiamava «la particolare rilevanza dell’Azione Cattolica che, in quanto collaborazione dei laici all’apostolato gerarchico della chiesa, ha un posto non storicamente contingente, ma teologicamente motivato nella struttura della chiesa» (Omelia, 8 dicembre 1968).
Tessere trame di comunione e di unità
A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamiti, abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, della Frìgia e della Panfìlia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, Romani qui residenti, Giudei e prosèliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio» (vv. 6-11)
La presenza in parrocchia educa i credenti a lasciarsi scuotere costantemente dal fragore del vento di Pentecoste che dischiude ogni chiusura e apre a quella comunione tra persone diverse per lingua popolo, nazione e tra esperienze, anche ecclesiali, molteplici. Dobbiamo apprendere e trasmettere i linguaggi nuovi così come la fantasia dello Spirito ci suggerisce. Viviamo tempi nei quali i nazionalismi e le difficoltà di accoglienza del forestiero e del diverso sono sempre più un problema sociale preoccupante. L’attenzione di Papa Francesco a questo tema ci stimoli a non chiudere il cuore a quanti chiedono ospitalità in diverse forme. Ogni comunità cristiana, microcosmo della società, deve essere esemplare in questo compito di abbattere i muri, aprire le proprie frontiere, accogliere chiunque chieda asilo nel nostro cuore, prima ancora che nel nostro spazio geografico.
All’interno delle nostre comunità, sia a livello diocesano che parrocchiale, l’Azione Cattolica ha il compito di favorire la comunione e l’unità tra i diversi carismi. Ne sia scuola e palestra. Deve essere prima di tutto a servizio del Regno di Dio, essere missionaria verso tutti; deve poi continuare a lavorare per la comunione, tratto proprio della sua tradizione, tra le tante esperienze ecclesiali – nate nel post-concilio – e far sì che tra i diversi carismi ci sia l’unità che viene dalla fede e dall’amore a Gesù Cristo, alla chiesa e al Regno di Dio. La sua competenza a servizio della parrocchia si rivelerà tanto più utile, quanto – rifiutando la logica dei primi posti – favorirà il “tavolo comune” dove tutti i diversi movimenti e cammini ecclesiali possono trovare posto per dialogare e confrontarsi. È terreno comune all’interno della chiesa perché tutti si sentano raccolti e appartenenti. Senza conflittualità e concorrenze.
Papa Francesco ci mette in guardia anche da questo pericolo: «c’è come il timore della “concorrenza” – e questo è brutto: il timore della concorrenza –, che qualcuno possa sottrarre nuovi seguaci, e allora non si riesce ad apprezzare il bene che gli altri fanno: non va bene perché “non è dei nostri”, si dice. È una forma di autoreferenzialità. Anzi, qui c’è la radice del proselitismo. E la chiesa – diceva Papa Benedetto – non cresce per proselitismo, cresce per attrazione, cioè cresce per la testimonianza data agli altri con la forza dello Spirito Santo» (Angelus, 1° ottobre 2018). Per arginare questo rischio incoraggio a coordinarsi sempre con le altre realtà dei movimenti e delle associazioni presenti in Diocesi; a questo scopo è preposta la Consulta delle aggregazioni laicali (Cdal) che nello spirito del Concilio Vaticano II ci consente di essere come chiesa locale in una dimensione sinodale permanente. Mi rendo conto che spesso può accadere che a livello personale ci possano essere delle incomprensioni che generano diffidenza e chiusura: non dimentichiamo mai che nella chiesa l’unità è il frutto dello Spirito e il vero motivo dello stare insieme non è l’affinità elettiva o caratteriale, ma la comunione effettiva realizzata dalla Grazia. Non accada di ridurre tutto ad uno sforzo intellettuale o organizzativo. È la tentazione del neo pelagianesimo richiamata dal Papa. I «nuovi pelagiani», infatti, «per il fatto di pensare che tutto dipende dallo sforzo umano incanalato attraverso norme e strutture ecclesiali, complicano il Vangelo e diventano schiavi di uno schema che lascia pochi spiragli perché la grazia agisca» (Gaudete et exultate, 59).
Accompagnare nei percorsi intergenerazionali
Allora Pietro con gli Undici si alzò in piedi e a voce alta parlò a loro così: «Uomini di Giudea, e voi tutti abitanti di Gerusalemme, vi sia noto questo e fate attenzione alle mie parole. Questi uomini non sono ubriachi, come voi supponete: sono infatti le nove del mattino; accade invece quello che fu detto per mezzo del profeta Gioele: Avverrà: negli ultimi giorni – dice Dio – su tutti effonderò il mio Spirito; i vostri figli e le vostre figlie profeteranno, i vostri giovani avranno visioni e i vostri anziani faranno sogni (vv. 14-16).
La Parola di Pietro – fondamento nei secoli dell’autentico magistero ecclesiale, dal quale mai dobbiamo discostarci e sempre lasciarci illuminare – indica alla chiesa nata dalla Pentecoste la vera meta di ogni servizio ecclesiale: realizzare già qui e già ora quel regno di Dio che non solo è trasversale ai popoli e alle nazioni, come ricordavo in precedenza, ma addirittura crea unità tra età e generazioni diverse. “I vostri giovani avranno visioni e i vostri vecchi faranno sogni”: non è questa la bellezza alla quale assistiamo all’interno della grande famiglia dell’Azione Cattolica? Tutte le età sono presenti: dai piccolissimi agli adultissimi, si snoda un percorso esistenziale che educa a rispettare la vita in ogni fase e in ogni difficoltà. In questi tempi così difficili nei quali avvertiamo che il virus ci sta privando di una generazione di anziani e dove sembra che la produttività sia l’unico criterio per valutare il valore di una persona, l’Azione Cattolica anche in questo deve richiamare quella cattolicità iscritta nel suo nome, che significa universale compatibilità con ogni cultura, popolo, ma anche con ogni momento e condizione di vita. In un tempo in cui i più giovani, a partire dai bambini fino agli adolescenti, sono privati della didattica in presenza, l’Azione Cattolica si rivela come quella scuola di contatto e di speranza che costruisce il futuro. In un tempo in cui i giovani hanno smarrito la bussola del presente e vivono relazioni solo digitali, l’appartenenza al gruppo dell’AC restituisce quella fisicità essenziale a far crescere uomini e donne, cittadini del futuro a servizio del bene comune. È importante per questo che l’Azione Cattolica accompagni tutte le fasce d’età, ma anche tutti gli stati di vita. Non c’è solo l’Acr, che rappresenta il prezioso avvio del cammino di appartenenza, è necessario incentivare il movimento dei lavoratori (Mlac), il movimento degli studenti (Msac), la federazione degli universitari (Fuci), il movimento ecclesiale di impegno culturale (Meic) e quello di impegno educativo (Mieac). In ogni momento e realtà dell’esistenza personale l’Azione Cattolica consente di sentirsi appartenenti alla chiesa e accompagnati in un percorso di vera umanità.
Incoraggio questi percorsi a partire dalla convinzione che ho espresso nella mia Lettera pastorale. Non accada che i cammini parrocchiali si riducano alla seppur primaria ricezione dei sacramenti del Battesimo, dell’Eucarestia e della Cresima. La nostra missione, sebbene non debba mai trascurare di essere in favore della grazia sacramentale, sempre più deve mirare a ristabilire quel cammino unico che è la vita cristiana nel quale i sacramenti che si ricevono sono segni efficaci, tappe, non solo punto di arrivo ma anche di partenza per camminare speditamente; non delle mete per arenarsi, ma gioiosa esperienza di Cristo e del suo Spirito per essere membra vive della chiesa e della sua missione nel mondo per la crescita del Regno.
Un’attenzione particolare, infine, ve la chiedo per i poveri, le persone vulnerabili, i disabili. Le membra fragili del corpo ecclesiale sono quelle che, come ci ricorda san Paolo, necessitano di maggior cura. Accogliere e integrare questi nostri fratelli e sorelle più deboli, abbattere ogni barriera architettonica e di diffidenza, dice la reale gratuità che muove il nostro servizio nella chiesa e con la chiesa.
Non è certamente facile il compito che sogno per la vostra Azione Cattolica e che vi affido. Il Vescovo è consapevole che le difficoltà non mancano all’interno delle parrocchie. Ma sento di incoraggiarvi assicurandovi il mio paterno e affettuoso accompagnamento. Vi sprono ad essere missionarie e missionari, e nessuno che parte per la missione si prepara ad attraversare territori spianati. Vi guidi sempre la bussola del Concilio, superate ritrosie e infingimenti, paure e presenzialismi.
Carissimi, impegniamoci tutti senza aspettare che le cose partano dall’alto. Non è segno di maturità starsene a guardare dalla finestra, aspettando che altri prendano l’iniziativa. Vi dono le parole che il Vaticano II ci ha lasciato come monito alla corresponsabilità ecclesiale: «Spetta alla loro coscienza [dei laici], già convenientemente formata, di inscrivere la legge divina nella vita della città terrena. Dai sacerdoti i laici si aspettino luce e forza spirituale […]. Non pensino però che i loro pastori siano sempre esperti a tal punto che, ad ogni nuovo problema che sorge, anche a quelli gravi, essi possano avere pronta una soluzione concreta, o che proprio a questo li chiami la loro missione; assumano invece essi, piuttosto, la propria responsabilità, alla luce della sapienza cristiana e facendo attenzione rispettosa alla dottrina del Magistero» (Gaudium et spes, 43).
Vi incoraggio a continuare ad essere un popolo di discepoli-missionari, i quali vivono e testimoniano la gioia di sapere che il Signore ama ciascuno di un amore infinito, e che insieme a Lui amano profondamente la storia in cui abitiamo. Ricordate sempre che il mistero della chiesa è più grande della realtà presente davanti ai nostri occhi: siamo in un unico cammino verso la Pasqua eterna, inaugurata da Cristo e dietro di Lui ci precede la Vergine Maria con i grandi testimoni di santità che hanno tracciato la strada della vostra Associazione, tra i quali mi piace ricordare Giuseppe Toniolo, Armida Barelli, Piergiorgio Frassati, Antonietta Meo, Teresio Olivelli, Vittorio Bachelet; ma anche quei soci e quelle socie della nostra Diocesi che ci hanno già preceduto nel segno della fede e ora dormono il sonno della pace. Apprezzo molto quando ricordate coloro che raggiungono la casa del Padre essendo state figure significative per la storia delle nostre comunità parrocchiali.
Vivete all’altezza di queste donne e di questi uomini che vi hanno preceduto per essere voi stessi fondamenta solide dell’Associazione del futuro.
Vi benedico nel nome di Gesù Cristo con vivo senso di paternità,
X Francesco Marino, Vescovo
La nota della Presidenza diocesana risposta-presidenza-messaggio-vescovo.pdf (74 download)