«Nessuno si salva da solo», ha detto papa Francesco davanti ad una vuota piazza.
Oggi più che mai serve fare rete, e serve anche la Rete. Solo la solidarietà può infatti generare un argine che possa contrastare il ‘virus incoronato’, che come un re su un campo di battaglia prova a far retrocedere l’umanità nelle proprie abitazioni. Un muro di solidarietà che certo non potrà avere l’efficacia di un vaccino ma a questo virus si risponde anche arginando la solitudine, soprattutto di chi ha toccato con mano la morte generata da questo feroce nemico della vita. Serve solidarietà, serve presenza, soprattutto in questo tempo di forzata distanza. E serve più che mai, per chi è cristiano, comunione.
Questo è il tempo della ‘liturgia senza concorso di popolo’, si sente ripetere in continuazione. E l’espressione è obbligatoria per chi annuncia di una Santa Messa presieduta dal vescovo diocesano, così da evitare l’immediato indice puntato dei leoni da tastiera. E scriverlo ogni volta – mi è toccato farlo – è una pugnalata al cuore, non troppo metaforica.
Manca la Messa e manca la propria comunità, la cui vita, imperfetta e perfettibile alla luce dell’Eucaristia, è aria per la fede di ogni cristiano. Questa mancanza per molti – per me di sicuro – ha fatto sentire tutto il suo peso il 25 aprile, nel seguire la Via Lucis promossa dall’Azione cattolica diocesana: e non perché non fosse una proposta curata ma proprio perché si è prepotentemente accreditata presso il cuore di tutti per l’attenzione con cui ogni intervento è stato pensato, per l’attenzione con cui la coralità dell’azione è stata accompagnata. Nel seguire le varie stazioni si è stati avvolti – a me è successo così – dall’abbraccio di tanti, anche di quelli che non erano attori principali, ma contemporanei ‘spettatori’. Quella Via Lucis è stato un momento di Chiesa, un momento di preghiera che con delicatezza ha fatto assaggiare alla Rete la bellezza dell’alternarsi della voce del popolo a quella dei propri sacerdoti. Un’azione ‘popolare’ , questo è stata la Via Lucis del 25 aprile. Le voci di popolo che si sono alternate, commosse e allo stesso tempo capaci di dare spunti di riflessione e meditazione importanti, sono state come una scossa, la scossa necessaria per far riemergere, con potenza, il volto della comunità cristiana locale: dalla parrocchiale alla diocesana. Non sono mancate le lacrime, nel riportare alla memoria questo volto: una vera e propria liberazione.
Nessuno si salva da solo, è vero, ed è stato bello ricordare che da cristiani, è nell’appartenenza ad altri, in Cristo, che sperimentiamo la nostra salvezza, la nostra libertà.
Mariangela Parisi