“Svuotati”. Ora proviamo a cambiare davvero.

Siamo arrivati al bivio. Era inevitabile, dovevamo arrivarci. La Chiesa italiana é all’incrocio decisivo. Ciascuno di noi, ciascuna comunità, é di fronte allo specchio che ha a lungo sfuggito. Il Papa che si é voluto chiamare Francesco ci chiede di spogliarci, anzi svuotarci, di privilegi, abitudini, burocrazie e false certezze per rivestirci completamente con i sentimenti di Gesú e i sentimenti dell’uomo di oggi. Il discorso che ha pronunciato oggi al Convegno ecclesiale – che tutti dobbiamo leggere e meditare senza pigrizie – non lascia piú spazi ad alibi, giustificazioni, sofismi, ragionamenti ineccepibili eppure senz’anima. Con il popolo di Dio, o nulla. Con i poveri, o nulla. Con gratuità e disinteresse, o nulla. Con essenzialità, o nulla. É una conversione. Non c’é parola piú adeguata. Conversione dalla nostra religiosità borghese. Dalle inutili pomposità. Dai paroloni che rimbombano senza nemmeno sfiorare i cuori. Dalle velleità che non fanno coscienza e non fanno cultura. Dall’eterno ripetersi dell’uguale. Conversione come depurazione, per lasciare spazio all’essenziale, ai sentimenti di profonda compassione di Gesú verso questa umanità. Oggi potremmo avere una tentazione: “Va bene, Francesco ha parlato. Ma chi se ne frega, andremo avanti come sempre, come abbiamo sempre fatto, non verrá mica a tirarci le orecchie uno a uno”. Già, la tentazione di fare spallucce. Ma da questo punto di vista ciascuno – che sia vescovo, sacerdote o laico – deve rispondere alla propria coscienza. Io, Marco, come credente, come socio di Ac e come presidente “pro tempore” di un’associazione diocesana che amo tantissimo, chiedo a me stesso e, se possibile, anche a voi, di provare a cambiare davvero, a migliorare, a ricentrarci su ció che conta davvero. Mettendo nello zaino ció che già abbiamo fatto con sentimenti di misericordia, ma lasciando spazio in abbondanza alla novità dell’altro e del mondo. Ci sono resistenze conscie e inconscie dentro di noi e negli ingranaggi della Chiesa. Ma forse non c’é tanto da starci a pensare. Iniziamo a rimuoverle, e mano a mano la strada nuova si dipanerà ai nostri occhi.

Ecco uno stralcio del discorso di papa Francesco

Umiltà, disinteresse, beatitudine: questi i tre tratti che voglio oggi presentare alla vostra meditazione sull’umanesimo cristiano che nasce dall’umanità del Figlio di Dio. E questi tratti dicono qualcosa anche alla Chiesa italiana che oggi si riunisce per camminare insieme. Questi tratti ci dicono che non dobbiamo essere ossessionati dal «potere», anche quando questo prende il volto di un potere utile e funzionale all’immagine sociale della Chiesa. Se la Chiesa non assume i sentimenti di Gesù, si disorienta, perde il senso. Se li assume, invece, sa essere all’altezza della sua missione. I sentimenti di Gesù ci dicono che una Chiesa che pensa a se stessa e ai propri interessi sarebbe triste. Le beatitudini, infine, sono lo specchio in cui guardarci, quello che ci permette di sapere se stiamo camminando sul sentiero giusto: è uno specchio che non mente.
Una Chiesa che presenta questi tre tratti — umiltà, disinteresse, beatitudine — è una Chiesa che sa riconoscere l’azione del Signore nel mondo, nella cultura, nella vita quotidiana della gente. L’ho detto più volte e Io ripeto ancora oggi a voi: «preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze. Non voglio una Chiesa preoccupata di essere il centro e che finisce rinchiusa in un groviglio di ossessioni e procedimenti» (Evangelii Gaudium, 49).
Ma allora che cosa dobbiamo fare, direte voi? Che cosa ci sta chiedendo il Papa?
Spetta a voi decidere: popolo e pastori insieme. Io oggi semplicemente vi invito ad alzare il capo e a contemplare ancora una volta l’Ecce homo che abbiamo sulle nostre teste. Fermiamoci a contemplare la scena. Torniamo al Gesù che qui è rappresentato come giudice universale. Che cosa accadrà quando «il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria» (Mt 25, 31)? Che cosa ci dice Gesù?
Possiamo immaginare questo Gesù che sta sopra le nostre teste dire a ciascuno di noi e alla Chiesa italiana alcune parole. Potrebbe dire: «Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi» (Mt 25, 34-36).
Ma potrebbe anche dire: «Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato» (Mt 25, 41-43).
Le beatitudini e le parole che abbiamo appena lette sul giudizio universale ci aiutano a vivere la vita cristiana a livello di santità. Sono poche parole, semplici, ma pratiche. Che il Signore ci dia la grazia di capire questo suo messaggio! E guardiamo ancora una volta ai tratti del volto di Gesù e ai suoi gesti. Vediamo Gesù che mangia e beve con i peccatori (Mc 2, 16; Mt 11,19); contempliamolo mentre conversava con la samaritana (Gv 4, 7-26); spiamolo mentre incontra di notte Nicodemo (Gv 3, 1-21); gustiamo con affetto la scena di lui che si fa ungere i piedi da una prostituta (cfr. Lc 7.36-50); sentiamo la sua saliva sulla punta della nostra lingua che così si scioglie (Mc 7, 33). Ammiriamo la «simpatia di tutto il popolo» che circonda i suoi discepoli, cioè noi, e sperimentiamo la loro «letizia e semplicità di cuore» (At 2, 46-47).
Mi piace una Chiesa italiana inquieta, sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti. Desidero una Chiesa lieta col volto di mamma, che comprende, accompagna, accarezza. Sognate anche voi questa Chiesa, credete in essa, innovate con libertà. L’umanesimo cristiano che siete chiamati a vivere afferma radicalmente la dignità di ogni persona come Figlio di Dio, stabilisce tra ogni essere umano una fondamentale fraternità, insegna a comprendere il lavoro, ad abitare il creato come casa comune, fornisce ragioni per l’allegria e l’umorismo, anche nel mezzo di una vita molto dura.
Sebbene, non tocca a me dire come realizzare oggi questo sogno, permettetemi solo di lasciarvi un’indicazione per i prossimi anni: in ogni comunità, in ogni parrocchia e Istituzione, in ogni Diocesi e circoscrizione, cercate di avviare, in modo sinodale, un approfondimento dell’Evangelii gaudium, per trarre da essa criteri pratici e per attuare le sue disposizioni. Sono sicuro della vostra capacità di mettervi in movimento creativo per concretizzare questo studio. Ne sono sicuro perché siete una Chiesa adulta, antichissima nella fede, solida nelle radici e ampia nei frutti. Perciò siate creativi nell’esprimere quel genio che i vostri grandi, da Dante a Michelangelo, hanno espresso in maniera ineguagliabile. Credete al genio del cristianesimo italiano che non è patrimonio né di singoli né di una élite, ma della comunità, del popolo di questo straordinario Paese.Qui il testo integrale del discorso Papa Firenze 2015.docx (325 download)

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