Ora abbiamo tra le mani l’Instrumentum laboris, lo “strumento di lavoro” che ci dovrà aiutare a trasformare l’intuizione del Sinodo in un progetto concreto di Chiesa.
Ieri sera padre Beniamino e Pina De Simone (la nostra ex presidente diocesana) ce l’hanno presentato con grande chiarezza, passione e lucidità. E don Franco Iannone ci ha illustrato il ricco cammino che come parrocchie dovremo svolgere per studiare l’Instrumentum e arrivare pronti al 2015/2016, quando saranno concretamente stese le “propositiones”. Non c’è tantissimo da aggiungere. Possiamo solo mettere l’accento su alcuni aspetti essenziali. Tre post-it per non dimenticare, per tenere a mente forse il senso più profondo sia dell’Instrumentum sia del cammino sinodale.
Il primo post-it: la grande sfida di passare da una pastorale abitudinaria a cammini che derivano da una attenta lettura della realtà. Non è facile, anzi è una rivoluzione. Significa, ad esempio, chiedersi prima che vita facciano i giovani e poi fissare gli incontri per loro. Chiedersi prima in quale mare agitato navighino le famiglie e poi pensare a percorsi che li possano attrarre. Significa concretizzare quello che, durante l’ultima Assemblea nazionale di Ac, abbiamo chiamato “primato della vita”. Partire dalle persone in carne ed ossa, dall’umanità, specie dall’umanità sofferente. E farcene carico davvero. Ciò significa far sparire le “idee” dalla nostra progettazione pastorale? Per nulla. Le idee si incastrano con la realtà, se idee e realtà viaggiano su dimensioni parallele non si incontreranno mai. Far derivare buone idee dalla vita concreta degli uomini e delle donne di oggi è solo un atto di verità e umiltà. E non è detto mica che idee “incarnate” non possano essere “profetiche”…
Il secondo post-it: il filo rosso dell’Instrumentum è, a mio avviso, l’impegno educativo. Per l’Ac vuol dire molto ed è una grande opportunità. Non risponde ai tempi una Chiesa che “fa cose” e non si preoccupa di predisporre itinerari credibili che conducano le persone dentro di sé (la vita interiore e il dialogo con Dio, le capacità affettive e relazionali…) e fuori di sé (la vita della Chiesa , la vita sociale…). Si mette in ascolto dei tempi una Chiesa che vede in ogni persona Dio-fatto-uomo, e se ne assume la cura come impegno prioritario.
Il terzo post-it: tutto è vano, se non capiremo che il più grande scandalo, oggi, sono sacerdoti che non si stimano, laici che si lanciano guanti di sfida tra loro, laici e sacerdoti che non riescono a trovare un minimo sentiero comune. Laici e sacerdoti che non comprendono e non rispettano il ministero del vescovo. Non possiamo entrare nel cuore del cammino sinodale se non ci diamo l’obiettivo della comunione. E si badi bene: la comunione non è quel clima ovattato in cui si parla per perifrasi; tantomeno è un modello autoritario in cui tutti si adeguano al leader senza troppe discussioni. Il problema non sono mica le discussioni e le diverse visioni delle cose. Il problema è la prospettiva con cui si guarda all’altro. La comunione è vedere nell’altro un figlio di Dio come me, una creatura unica, speciale e degna di stima. La comunione è avere lo sguardo di Dio sugli altri, depurare i miei occhi contaminati da pregiudizi, egoismo e superbia.
Di queste cose, e di tante altre, parleremo il prossimo 30 novembre: in quel giorno avremo un Consiglio diocesano aperto a tutti i presidenti parrocchiali per capire come l’Ac può aiutare il Sinodo. Sarà un appuntamento in cui avremo con noi anche padre Beniamino.
Marco Iasevoli