Il 3 Agosto 2014, appena terminata la bellissima e gioiosa esperienza del campo diocesano unitario, siamo partiti alla volta di Fognano, un paesino in provincia di Ravenna, dove ci aspettava un’altra sorprendente quanto arricchente avventura: il campo nazionale. Come negli ultimi anni, sono stati uniti responsabili diocesani del MSAC e quelli del Settore Giovani, ma abbiamo seguito “percorsi differenziati” : “È un giorno buono!” il tema del MSAC (dalla nostra diocesi c’erano Giuseppe e Teresa) e “Fuori tutti!” il tema del SG ( a rappresentare il Settore oltre me, c’era la nostra vice Sara).
Timori e aspettative. Beh, come ogni volta, quando vai in un contesto diverso, nuovo, hai la paura di sentirti spaesato e fuori luogo. Hai anche un po’ di “ansia da prestazione” perché ti ritrovi dinanzi persone che non ti conoscono e che possono farsi un’idea sbagliata di te e poi anche perché rappresenti una diocesi intera e, diciamola tutta, la nostra non è una diocesi qualsiasi. Di aspettative ne avevo tante: allargare sicuramente i miei orizzonti, instaurare legami e stabilire contatti con i responsabili delle varie diocesi, conoscere i responsabili nazionali e da vicino anche don Tony (assistente nazionale SG e MSAC) e monsignor Mansueto Bianchi (assistente ecclesiastico generale AC), vivere un’esperienza altamente formativa. Ero convinto che malgrado i timori sarebbe stata un’esperienza unica! E le mie aspettative non sono state tradite. Quanto ai timori, devo fare una correzione. Quando parlavo di contesto mi riferivo al fatto che ovviamente non mi sarei trovato nella mia parrocchia, né nella mia diocesi e per contesto diverso intendevo il livello nazionale. Beh su questo sono stato tradito, perché ho capito che il contesto è uno solo: che tu sia di questa o quella parrocchia, diocesi, regione e così via, sei sempre e soprattutto un giovane di AC, che porti Cristo nel cuore e trasformi questo amore in amore per l’Azione Cattolica e per gli altri. Ed infatti sono rimasto stupito dalla naturalezza con cui ci relazionavamo l’uno con l’altro, ognuno con la propria storia, ma tutti con lo stesso e unico comune denominatore. E con semplicità ti mettevi in gioco, ti confrontavi, partecipavi alle divertentissime animazioni, rimanevi fino a tardi a chiacchierare sul pianerottolo.
Contenuti. Il tema “Fuori Tutti!” riprende il messaggio che ci ha lasciato Papa Francesco il 3 Maggio nell’incontro con l’Azione Cattolica, ed in particolare i tre verbi: Rimanere, Andare e Gioire. Questi tre verbi ci dicono come essere realmente dei giovani missionari: rimanere in Gesù e con Gesù, in comunione con Lui; andare e testimoniare per le strade e soprattutto nei crocicchi, facendo “correre” la Parola di Dio, che è speranza e amore; gioire, cantare la fede, perché siamo corresponsabili della missione della Chiesa e in ciò non siamo soli. Ha segnato l’inizio del campo il momento del deserto e della meditazione personale ed è stato un bene, perché in questo modo hai ben chiaro quale sia la tua situazione, cosa manca, cosa cerchi in quei giorni, cosa vuoi da Lui e cosa alla fine Lui ti chiede. La lectio di Bianchi e la successiva meditazione erano sul brano tratto dal Vangelo di Matteo (Mt 13, 44-51), in cui Gesù racconta tre parabole sul regno dei cieli: esso è simile a un tesoro nascosto, ad un mercante in cerca di pietre preziose, ad una rete gettata in mare. Il primo passo per la missionarietà è il rimanere in Gesù, ma bisogna prima di tutto trovarlo, nel senso che bisogna prima di tutto capire che Gesù è gemma, è tesoro: non è banalità, non è un’aggiunta, ma è Colui che rende preziosa la vita, la rende bella, gioiosa. Se non hai Lui che vita è? Hai le caricature e le apparenze della vita, ma non hai la vita. Tante cose funzionano come caricature e anestesia alla vera vita. Il nostro cammino è questo: liberarci da queste caricature, scavare a fondo, trovare la perla preziosa, aiutare gli altri a fare altrettanto, gioire insieme perché, trovato il tesoro, ora stiamo vivendo davvero. Ecco allora che il secondo passo diviene l’Andare, il Fuori tutti, essere, come ci invita il Papa nell’Evangelii Gaudium, una Chiesa in uscita. << In questo “andate” di Gesù, sono presenti gli scenari e le sfide sempre nuovi della missione evangelizzatrice della Chiesa, e tutti siamo chiamati a questa nuova “uscita” missionaria. Ogni cristiano e ogni comunità discernerà quale sia il cammino che il Signore chiede, però tutti siamo invitati ad accettare questa chiamata: uscire dalla propria comodità e avere il coraggio di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo>> (Evangelii Gaudium). Le periferie, ma cosa e quali sono le periferie? Su questo ci hanno aiutato nella riflessione in un primo momento ancora monsignor Bianchi e la “nostra” Pina De Simone, in un secondo momento don Vito Piccinonna (direttore Caritas per la diocesi di Bari-Bitonto), Pier Paolo Triani (consigliere nazionale Settore Adulti) e Maria Grazia Vergari (Vicepresidente nazionale Settore Adulti). Prima di tutto esistono le persone, non le periferie. Le periferie servono solo per ricordarci che non siamo noi il centro, ci sono altre vite al di fuori di noi. E noi dobbiamo andare incontro a queste vite, alla vita che fatica, alla vita che è ferita, alla vita che sogna e spera. E di persone che soffrono, faticano, che sono ferite ce ne sono molte. Per fare ciò non possiamo essere da soli, pensandoci eroi, ma dobbiamo muoverci con un lavoro comunitario (ecclesiale e civile), con metodo (per analizzare e intervenire) e con uno stile soprattutto. Dobbiamo tenere presente che alla radice delle povertà e delle periferie c’è solitudine e noi dobbiamo correre il rischio della relazione, dell’incontro, dell’ascolto, dell’accoglienza. Non possiamo usare mani mozze, non possiamo mettere le nostre ferite sulle ferite degli altri: l’attenzione all’altro parte da una propria analisi interiore, perché le proprie ferite non facciano da ostacolo, ma da mezzo di sensibilità. Questo deve essere quindi lo stile della Chiesa: non di giudizio, ma di amore. La Chiesa ha mostrato spesso il volto del giudizio, della verità senza amore, del diritto canonico senza Vangelo; ma il Signore non ci viene incontro con la legge, ma con la croce, con un abbraccio d’amore nelle oscurità della vita. Dopo aver parlato di periferie, di persone ferite, è arrivato poi il momento più importante: toccare queste ferite, vivere queste periferie. È stato sicuramente, a detta di tutti i campisti, il momento più bello e l’esperienza più forte e profonda dell’intero campo: ciascuno aveva la possibilità di “visitare/vivere” una periferia (uso sempre questo termine con le pinze). C’è chi ha vissuto questa esperienza in un centro per tossico-dipendenti, chi in un centro di ascolto della Caritas, chi in una casa famiglia, chi, come Sara, in una casa per senza-tetto, chi, come me, in una casa d’accoglienza per profughi. Vi racconto un po’ della mia esperienza. In provincia di Forlì-Cesena, a Predappio, una coppia di coniugi con una bambina di un anno e pochi mesi hanno fatto con coraggio una scelta: quella di accettare la sfida di trasferirsi e aprire la propria casa per accogliere profughi in attesa dell’iter di riconoscimento. Nemmeno il tempo di insediarsi nella nuova dimora, che arriva una telefonata che preannuncia loro l’arrivo nel giorno successivo di un gruppo di profughi provenienti direttamente da Lampedusa: in parte Siriani e in parte del Mali. Mentre i Siriani hanno scelto di andare altrove, si fermano nella loro casa i dieci ragazzi del Mali. Ciò è successo circa due settimane prima del nostro arrivo. I coniugi ci hanno raccontato un po’ delle motivazioni, delle paure e delle ansie, delle difficoltà, ma la cosa che più ci ha stupito è che ci hanno raccontato di quanto fossero felici, di come avessero trovato la gioia vera! Quanta grazia e quanta meraviglia nell’incontro con loro, quanta gioia e quanto stupore nell’incontro con i ragazzi. Ci hanno raccontato, grazie all’aiuto di qualcuno che si è improvvisato interprete, visto che c’era uno di loro che parlava francese, del loro viaggio, del perché avessero fatto tale scelta, delle loro speranze, ma soprattutto da quanto stessero bene con questa famiglia, che era diventata la loro. Infine abbiamo concluso l’incontro con una preghiera insieme (loro erano musulmani, ma si sono messi in cerchio con noi e ci hanno teso la mano nel momento del Padre Nostro) e con una partita di calcio. Cosa mi è rimasto di questo incontro: beh, tanto! Prima di tutto il coraggio, la serenità e la gioia di questa famiglia, poi l’accoglienza che i ragazzi ci hanno mostrato, la spontaneità di alcuni gesti, la semplicità del loro relazionarsi con noi, mentre spesso siamo noi a mettere dei paletti. E allora è con questa esperienza che le parole dei giorni precedenti prendono forma, prendono la forma di un cammino di amore a cui ciascuno di noi è chiamato, a cui l’AC è chiamata! E proprio del ruolo dell’AC che ci parla nel giorno successivo il presidente nazionale Matteo Truffelli, un’AC che ha un compito importante nella missione della Chiesa, un’AC che insieme alla Chiesa si fa “in uscita”. Per fare ciò dobbiamo essere persone che amano il mondo, che si spendono in tutte le realtà, persone appassionate, coraggiose e competenti, persone formate. Ecco allora che sono chiare alcune priorità: legame con il clero, formazione, ruolo da protagonista dei giovani, riscoperta degli adulti, vivere il territorio, fare rete con le altre associazioni e con le varie autorità. Le ultime attività sono state di confronto sulla situazione delle varie diocesi e soprattutto di analisi delle periferie che riguardano il territorio che abitiamo, su cosa l’AC diocesana può fare, su cosa il Settore Giovani diocesano può lavorare. E su questo, sia a livello unitario che di settore, la nostra diocesi già sta lavorando.
Amarcord. È stata un’occasione unica di formazione e di crescita. Nel mio zainetto al ritorno ci sono tanti inviti/propositi/imperativi: allargare gli orizzonti, avere uno sguardo più sensibile, essere capace di vendere la pelle, sporcarsi le mani, toccare con le mani le ferite della comunità e della società, mutare l’atteggiamento di giudizio in un atteggiamento di servizio ai bisogni e alle fragilità degli altri, essere sempre appassionato e mai tiepido, vivere con gratitudine e servire con gratuità, essere consapevole del ruolo dei giovani all’interno del laicato, in stretta comunione con gli adulti e con i sacerdoti. E poi il grande dono delle relazioni: il tessere relazioni con molti “amici” e scorgere nei loro occhi la bellezza e la gioia dell’incontro e dell’accoglienza fraterna; in particolar modo gli amici provenienti dal Mali conosciuti a Predappio, ma anche tutti i responsabili e gli assistenti delle diocesi di tutt’Italia, mons. Mansueto Bianchi, i responsabili nazionali, i Msacchini (con cui è stato davvero un piacere condividere questa esperienza di campo), don Tony, rincontrare dopo pochi giorni don Vito e Matteo Truffelli, riabbracciare la “nostra” Pina De Simone, il sentirsi accolti dalla delegazione regionale che ci ha fatto visitare un’incantevole Brisighella, allietandoci con musica e danze popolari… Sono stati giorni di riflessione, spiritualità, discernimento, analisi del territorio, progettazione, contatti instaurati con molte diocesi, divertimento (grazie alle varie serate di animazione). Sono davvero felice di aver fatto questa esperienza e ringrazio Sara ed Alfonso in primis, Marco e il resto della presidenza per avermi spinto a vivere questi giorni. Spero riesca a portare frutto nella mia vita e nell’associazione parrocchiale e diocesana: donare agli altri ciò che ho ricevuto in dono in questi giorni. Che il Signore mi stia sempre accanto in questo cammino personale e comunitario!
Carmine Trocchia