Non del mondo, ma nel mondo. Buon anno Ac!

“Che giova infatti all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima?” (Mc. 8, 34). Questa frase mi ha accompagnato per un intero anno, questa frase è il mio senso di Ac, il motivo per cui vivo l’Ac, per cui sto nell’Ac, per cui ho rinnovato il mio “sì” all’Ac. Ed è alla luce di questa frase che voglio rileggere quest’anno associativo e diocesano. Perché in fondo, al termine di un anno cosa fa uno che dice di aderire alla Chiesa e a Cristo se non misurare la fedeltà a questa scelta? E che vuol dire misurare la fedeltà? Vuol dire quantizzare le elemosine, le offerte a messa, le volte in cui ho detto sì al mio parroco o al mio vescovo, le volte in cui sono stata presente ad un incontro, le volte in cui ho rinunciato ad una pizza per pagarmi un incontro diocesano, le volte in cui ci ho rimesso la benzina o  la ricarica del cellulare per avvisare di eventuali cambiamenti i miei amici di associazione? Io non credo. Piuttosto penso che al temine di quest’anno dovremmo chiederci quanto ci siamo messi in gioco per amare, per essere pane spezzato per gli altri. La nostra Chiesa locale ce l’ha chiesto, ce l’ha chiesto il nostro vescovo: accompagnare l’altro per incontrare nel suo volto quello di Cristo, mettere in gioco se stessi non per educare ad una dottrina ma per far sperimentare l’eternità. E noi abbiamo accompagnato chi ci è stato affidato? Domande che tutti noi dovremmo porci.

Abbiamo iniziato l’anno con l’assemblea elettiva, momento in cui viene fuori più che altrove il carattere democratico e popolare della nostra associazione, in cui il criterio di scelta non è la bravura ma la disponibilità al servizio, l’umiltà della testimonianza: siamo stati fedeli a questo? Ci siamo detti in quell’occasione la necessità di una maggiore presenza nel quotidiano delle persone perché sentissero la vigile presenza di fratelli e sorelle: siamo stati fedeli a questa richiesta di compagnia? Poveri, disagiati, disoccupati, divorziati, abbandonati, orfani, malati, disabili, soli, depressi, confusi, disorientati, rinnegati, incompresi: ci siamo messi in ascolto della sofferenza? Abbiamo lavorato perché tutti potessero essere partecipi dell’associazione o abbiamo favorito la creazione di opposizioni?

Sempre ad inizio anno abbiamo organizzato una serie di incontri sull’ambiente: quanto di quello che abbiamo detto e visto ci ha plasmato, è stato confrontato con la Parola, ha messo in moto quella parte bella che anela a Cristo? Il carico di “munnezza” che entrato nelle case dei savianesi e dei nolani pochi mesi fa ci dice che la nostra voce deve essere ancora più alta, che la nostra presenza ancora più vigile: non perché il nostro diventi lo stile delle barricate, ma perché la nostra associazione sia il segno “stop” davanti alla dignità dell’uomo e del creato.

Ad inizio anno, forte abbiamo ribadito la nostra “scelta educativa”: noi adulti cosa abbiamo fatto in questo senso? Nelle nostre parrocchie abbiamo lavorato per l’unità? Abbiamo fatto da mediatori, abbiamo posto la nostra esperienza al  servizio dei più giovani perché incanalassero la loro capacità di “spaccare il mondo” verso il bene? Oppure siamo stati elemento di discordia, sostegno alla suddivisione in fazioni? La nostra è stata una testimonianza del senso pieno dell’adesione all’Ac quale scelta dell’essere ultimi, del servire senza pensare al tornaconto personale, del dire “sì” prescindendo dall’utile che ne possa venire, nell’esserci per amore delle relazioni, quelle buone, e della vita, quella vera?

C’è poco da giocare con le parole, la frase con cui ho iniziato l’articolo ci dice una cosa: che con la Chiesa non si scherza, che l’adesione alla Chiesa non è una scelta da poco: l’alternativa è infatti il mondo, mentre noi scegliendo la Chiesa abbiamo scelto Cristo. E questa scelta l’abbiamo ribadita ai più piccoli invitandoli ad essere “Pronti a cose grandi”; l’abbiamo affermata a giovani e adulti con il campo unitario dedicato all’Eucarestia perché ci ricordassimo di essere una cosa sola, “Tutti d’un pezzo”; l’abbiamo ribadito accogliendo la richiesta degli amici albanesi, desiderosi di costituirsi Ac; l’abbiamo vissuto fermandoci a rileggere le vite dei tanti santi del quotidiano di cui le nostre comunità parrocchiali, e la nostra comunità ecclesiale è ricca, in particolare – e non me ne vogliate – quella di quel folle innamorato di Cristo che è Paolino Iorio.

“A che serve il mondo se poi perdi te stesso?”: il Natale arriva per ricordarci questo, per ricordarci che ognuno di noi è responsabile dell’Associazione e della Chiesa locale, per ricordarci che la bellezza che quest’anno abbiamo vissuto, non è un traguardo, ma un punto di partenza per un “sì” sempre più pieno.

 

Mariangela Parisi

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