La porta per "osservare" il divino

È la vita il luogo di incontro tra Dio e l’uomo ma il dialogo con Lui non è facile.

I testi sacri ci aiutano sicuramente nella chiacchierata personale con il Signore; la lettura dell’iniziativa di Dio e della sua fedeltà, la lettura della promessa del salvatore è certo lo strumento principe per comprendere ed accogliere il mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio.

L’ Incarnazione, come venuta per tutti dell’Emmanuele attraverso il quale ogni uomo è chiamato a diventare figlio di Dio, è la prova fondamentale dell’amore del Padre per gli uomini.

Se il primo passo per capire questo mistero si fa attraverso le sacre scritture, il secondo potrebbe essere quello dell’iconografia. Un altro strumento o forse una porta dalla quale spiare la dimensione del mondo divino è proprio il simbolismo dell’icona.

È questo il contenuto della catechesi attraverso l’arte tenuta da don Luigi Vitale venerdì 25 novembre, nella sala convegni della Chiesa di San Sebastiano Martire di Brusciano.

L’iconografia non può essere considerata come una qualsiasi altra forma d’arte. Ha ad oggetto lo studio di un’opera nei suoi elementi grafici e compositivi nell’intento di rintracciarne i particolari significati. Difatti l’icona non viene contemplata dai credenti per l’armonia o precisione delle forme quanto piuttosto per quello che rappresenta e ricorda: non descrive semplicemente una scena biblica, ma rende visibile una realtà altrimenti invisibile e indicibile.

Le opere che don Luigi ci ha mostrato erano dipinti, frammenti di stoffe liturgiche e coperchi di sarcofagi, che dal IV sec manifestano il vivo interesse dell’arte per il mistero dell’Incarnazione.

Il simbolismo delle icone segnala che ogni gesto, colore, atteggiamento corporeo ha un significato univoco.

I colori sono gli elementi primari in ogni opera d’arte, tanto più nell’iconografia cristiana dove assumono significati caratteristici. Nella “Natività” di Duccio di Buoninsegna la Vergine è vestita di rosso, colore dell’umanità, e avvolta in un maphorion blu, colore della divinità. Il deciso utilizzo dei colori rosso, blu e viola (sintesi dei primi due e colore della regalità) è presente anche in “Natività e Adorazione dei Magi” di Filippo Lippi dove è in evidenza anche la possente presenza di animali: pavone, fagiano, falcone, rispettivamente simboli di eternità, intemperanza e mortificazione.

Quando si parla di colori non si può non parlare di un altro tema caratteristico delle rappresentazioni sulla natività: la luminosità con cui è raffigurato il Bambin Gesù. In “Adorazione dei Pastori” di Correggio del 1525 e anche nel magnifico “Adorazione del Bambino” di Gerrit van Honthorst del 1620 è riprodotta con efficacia la luce che il Bambino emana, illuminando tutto intorno a lui.

Lui, la sua luce: sono il simbolo della nuova alba che sorge per l’intera umanità.

Ed è proprio all’umanità nella sua interezza e a tutte le etnie del mondo che il messaggio della venuta del salvatore è rivolto. Così Pieter Bruegel dipinge la sua “Adorazione dei Magi”, tra i quali il pittore rappresenta di spalle un pelle rossa che insieme agli altri due magi è in contemplazione del figlio di Dio.

Albrecht Altdorfer nella sua “Adorazione dei Magi” rappresenta un mago africano a dimostrazione della fede dei tre continenti fino ad allora conosciuti e ritrae i tre magi nelle tre diverse età che l’uomo attraversa.

Ciò che è stato fortemente caratterizzante delle tele è l’atteggiamento corporeo con il quale il Bambino è presentato. È emblematico come sul coperchio di un sarcofago risalente al IV sec. il bambino non è rappresentato come deposto in una cesta-mangiatoia quanto piuttosto su un altare e avvolto in fasce come un defunto. Andrà oltre le fasce da defunto Hugo Van der Goes nel 1448 che nel suo “Adorazione dei Pastori” ritrarrà il Bambino come già crocifisso; con l’apertura della tenda mostra al mondo il motivo della venuta del Cristo sulla terra: Gesù doveva nascere per morire, per essere offerto all’umanità come Eucaristia.

Accanto ad un agnello Domenico Beccafumi, in “Natività”, ritrae il Bambin Gesù; la croce sul fondo rende ancora una volta manifesta la ragione per la quale quel bambino arriva sulla terra: sarà l’agnello immolato sull’altare del suo stesso Padre per la salvezza dell’umanità tutta.

Forse una tela su tutte ha colpito l’attenzione di chi c’era alla Lectio, certo non per bellezza quanto per il forte impatto visivo con il quale ha presentato la natività: la “Heilige Nacht” di Emil Nolde del 1912. Il bambino è davvero ritratto come fosse un pezzo di carne. Il <<E il Verbo si fece carne… >> di Giovanni 1,14 è mostrato con pienezza in questo dipinto: il Dio che assume la debolezza corporale di un piccolo bambino inerme. Quello stesso bambino sarà l’uomo- Dio, vittima perfetta da immolare a pro degli uomini.

Le iconografie dell’Incarnazione ci mettono in comunicazione con il divino, rendono visibile agli occhi quello che potrebbe essere compreso ed attingibile solo per il tramite della fede.

Raffaella Manna

Il mistero dell’Incarnazione (.ppt)

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