Che tempo è, questo che stiamo vivendo, per l’Azione cattolica? Non mancano i profeti di sventura, coloro che instancabilmente – e ormai da decenni – considerano chiusa la vicenda dell’associazionismo. Tanti segni, invece, lasciano intendere che quello presente sia un tempo proficuo e gravido di opportunità. La vacuità etica che ci circonda, per contrasto, alimenta il desiderio di proposte e percorsi seri, ben radicati. Appare inoltre evidente che il desiderio della Chiesa di incontrare l’uomo del nostro tempo non potrà essere appagato da iniziative estemporanee e discontinue, ma avrà sempre più bisogno di strumenti ordinari che parlano alla vita tutta intera. Per questi motivi è un tempo proficuo per l’Ac. Con tutte le fragilità di una realtà associata, l’Azione cattolica risponde ad alcune esigenze fondamentali del nostro tempo: il radicamento in territori concreti (il quartiere, la contrada, il paese, il centro urbano…), la presenza di un progetto formativo che ha obiettivi e metodi chiari, infine l’ordinarietà, ovvero il giorno dopo giorno attraverso cui questa proposta si snoda. Inoltre, valore aggiunto, collega la dimensione locale a quella nazionale e universale, evitando alcuni rischi tipici del vivere associato: l’isolazionismo e l’autosufficienza.
Tutto ciò è scritto nel dna dell’associazione, ma ha bisogno di essere incarnato nello stile e nelle scelte concrete di chi ha la responsabilità diretta della vita associativa. Frutto della modernità è che tutto, anche le idee più belle, sono sottoposte a “verifica”. E l’Ac deve costantemente “verificare” la fedeltà a se stessa. Per cogliere dunque le opportunità che il tempo offre, occorrerà mettere seriamente la testa su alcuni punti essenziali:
– la formazione degli educatori; gli educatori, in Ac, sono la cartina di tornasole dell’associazione. Accompagnarli, sostenerli, offrire loro una formazione permanente, innanzitutto come persone in cammino, è un dovere dal quale non ci si può sottrarre. Incontrare un educatore laico significativo e coerente è, ancora oggi, un formidabile veicolo per porsi le domande essenziali sulla vita e sulla fede.
– l’attenzione al bene comune; l’Ac è chiamata a dare dignità alla propria “laicità”. Partecipare alla vita della città non è altro dalla cura della propria spiritualità. Affrontare scottanti questioni locali, nazionali e globali non è altro dal discutere di amicizia e relazioni. Occorre assumere la formazione al bene comune come parte integrante dell’identità associativa, ed evitare il rischio di formare solo onesti e generosi operatori intraecclesiali.
– la promozione dell’Ac; l’associazione va promossa e presentata a laici e sacerdoti, il che non significa soltanto “fare il giro delle parrocchie” o elencare gli articoli dello Statuto e del Progetto formativo. Promuovere significa far concretamente assaggiare la bellezza e l’efficacia umana e di fede di questa proposta. Promuovere è mettere in gioco la propria storia personale, e far comprendere che davvero l’Ac è al servizio della Chiesa e del territorio.
Il tempo è proficuo, dunque. Ma non ci sarà un automatismo per cui il “buon tempo”, da solo, si trasformerà in un’Ac più forte e florida. I segni positivi hanno sempre bisogno di persone che sappiano riconoscerli e generosamente trasformarli in vita vissuta.
Marco Iasevoli
(neo-papà di Simone)