“Spe salvi facti sumus”- nella speranza siamo stati salvati- così comincia la sua seconda enciclica Papa Benedetto XVI, riprendendo le parole di San Paolo nella lettera ai Romani.
In questa sua lunga riflessione sulla seconda virtù teologale il Pontefice inizia con il sottolineare che è proprio la speranza ciò che fa vivere il cristiano diversamente, ciò che gli dona una vita nuova, in quanto illumina il suo futuro, dandogli la consapevolezza che la sua vita non finisce nel vuoto ma è destinata ad una meta così grande da giustificare la fatica del cammino.
Nell’enciclica successivamente il Papa ribadisce più volte il carattere comunitario della speranza cristiana, che però, nel corso dei secoli, è stato sempre più trascurato: “Come si è arrivati a interpretare la “salvezza dell’anima” come fuga davanti alla responsabilità per l’insieme, e a considerare di conseguenza il programma del cristianesimo come ricerca egoistica della salvezza che si rifiuta al servizio degli altri?”
Partendo da questa domanda Benedetto XVI analizza le componenti fondamentali del tempo moderno: progressivamente nella nostra società si è andata imponendo una nuova correlazione tra scienza e prassi, che renderebbe gli uomini in gradi di dominare sulla natura e di ristabilire il “paradiso” perduto. Si attende quindi la redenzione del mondo esclusivamente dalla correlazione scienza-prassi e non più dalla fede, la cui rilevanza è relegata solo alle cose private e ultraterrene.
La speranza cristiana viene così sostituita dalla fede nel progresso, sostenuta , tra gli altri, da Bacone. Inevitabilmente il discorso si indirizza su che cosa significhi veramente “ progresso”, e qui il Papa lancia un monito molto chiaro: “Senza dubbio esso offre nuove possibilità per il bene, ma apre anche possibilità abissali di male – possibilità che prima non esistevano.[…] Se al progresso tecnico non corrisponde un progresso nella formazione etica dell’uomo, nella crescita dell’uomo interiore, allora esso non è un progresso, ma una minaccia per l’uomo e per il mondo.”
Il concetto di progresso, dice il Pontefice, è collegato al concetto di libertà, in quanto il progresso implica il superamento di tutte le dipendenze. Ma, dice giustamente il Santo Padre, “la libertà presuppone che nelle decisioni fondamentali ogni uomo, ogni generazione sia un nuovo inizio.”
Ciò vuol dire che il benessere morale dell’umanità non potrà mai essere assicurato in eterno attraverso strutture, per quanto valide possano essere, in quanto c’è bisogno costantemente di una nuova e libera adesione a tali strutture da parte di ogni uomo. E comunque, “ le buone strutture aiutano, ma da sole non bastano. L’uomo non può mai essere redento semplicemente dall’esterno.[…] Non è la scienza che redime l’uomo. L’uomo viene redento mediante l’amore.”
Abbiamo cioè bisogno di un amore incondizionato che ci renda redenti, qualunque cosa accada. E la nostra personale speranza della redenzione deve essere speranza di redenzione per tutti, così come Cristo si è donato per tutti noi.
Benedetto XVI si sofferma poi sui luoghi di apprendimento e di esercizio della speranza.
- Innanzitutto cita la preghiera come potente processo di purificazione interiore che ci consente di entrare in comunione con Dio e con gli uomini; importante è trovare un giusto equilibrio tra preghiera personale e preghiere liturgiche.Parla poi dell’agire e del soffrire.
- E’ con le nostre azioni che mettiamo in atto la speranza; ed è E la speranza-certezza che la nostra vita, la nostra storia, sono volute da Dio, che ci dà il coraggio di proseguire e di operare, nonostante i possibili fallimenti.Anche la sofferenza, che fa parte dell’esistenza umana, è luogo di apprendimento di speranza. Possiamo cercare di superare la sofferenza, di lenirla, ma non ci sarà mai possibile eliminarla, a causa della nostra finitezza e delle nostre colpe. Ma, d’altra parte, la guarigione dell’uomo non sta nel fuggire dalla sofferenza, ma nella capacità di accettarla e grazie ad essa maturare, ricordando sempre Cristo, che con infinito amore ha portato la sua Croce prima di noi. Elementi fondamentali di umanità che devono guidare la nostra vita sono il soffrire con gli altri, per gli altri; il soffrire per amore della verità e della giustizia; il soffrire a causa dell’amore.
- Cita infine il Giudizio finale come luogo di apprendimento e di esercizio di speranza.Dio crea giustizia, in un modo che forse non possiamo comprendere, ma che attraverso la fede, dice il Papa, possiamo intuire e che ci fa credere nella vita eterna. Il Giudizio di Dio diventa per noi speranza perché esso è sia giustizia, sia grazia. Dio tiene cioè conto della nostra condotta sulla Terra e la valuterà, ma al tempo stesso sarà clemente se almeno saremo stati protesi, nel corso della nostra esistenza, verso Cristo, verso la verità e verso l’amore.
Anna Giamundo