Un resoconto dal Convegno regionale svoltosi a Scampia il 3 febbraio. Tema: “La corruzione nel mondo: quale messaggio per la Campania?”. Il 21 settembre 2006 il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace ha pubblicato una Nota intitolata “La lotta contro la corruzione”. Il documento non definisce la corruzione, ritenendola nota a tutti i lettori. La nota, del reato, precisa che “la corruzione è da sempre esistita”, anche se “solo da pochi anni se ne è presa coscienza a livello internazionale “ (n. 2). Questo cambiamento, ad avviso del Pontificio Consiglio, è dipeso da “due grandi fatti storici”: la fine dei blocchi ideologici dopo il 1989 e la globalizzazione delle informazioni. In particolare, la globalizzazione da un lato permette di esportare meglio i fenomeni corruttivi, ma dall’altro consente di combattere la corruzione attraverso “una collaborazione internazionale più stretta e coordinata”. La corruzione non va, però, intesa solo quale “grave danno dal punto di vista materiale”, ma si deve essere coscienti che la corruzione “compromette il corretto funzionamento della Stato, influendo negativamente sul rapporto tra governanti e governati”. La corruzione non indebolisce, quindi, solo il sistema economico, ma impedisce “la promozione della persona e rende le società meno giuste e meno aperte”. Il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace ritiene necessario “per il superamento della corruzione, … il passaggio da società autoritarie a società democratiche, da società chiuse a società aperte, da società verticali a società orizzontali, da società centralistiche a società partecipate”. Ciò nonostante, bisogna considerare che anche “l’eccessivo pluralismo può minare il consenso etico dei cittadini”, favorendo una “babele degli stili di vita” che può indebolire il giudizio morale sulla corruzione. Per affrontare adeguatamente il fenomeno corruttivo, il Pontificio Consiglio propone il concetto di “ecologia umana”, già esplicitato dalla Centesimus annus (n. 38). La Chiesa, pertanto, si impegna “a promuovere le risorse morali che aiutino a costruire una “ecologia umana” in cui la corruzione non trovi un habitat naturale”. La Nota individua nella formazione e nell’educazione morale dei cittadini gli strumenti migliori per la lotta alla corruzione, perché permettono di creare veri rapporti interpersonali, favorendo la costruzione di una “ecologia umana”. La Nota, però, non indica altri strumenti specifici per la lotta al fenomeno corruttivo, ma addita quale stella polare l’intera Dottrina sociale della Chiesa. Resta, però da domandarsi come concretamente un laico cristiano possa farsi portatore di “prassi di legalità”, soprattutto in quegli ambienti che sono a più alto rischio di corruzione: la politica e l’economia. La Dottrina sociale ci invita ad impegnarci attivamente nel mondo, a non lasciare ad altri la gestione delle realtà temporali. Eppure molti cattolici, anche soci di Azione Cattolica, vedono la politica come un luogo dal quale essere ben distanti. Quali sono allora gli atteggiamenti che dovrebbe assumere un socio di A.C. o che un educatore dovrebbe indicare a giovani e ragazzi? In primo luogo, il laico cristiano deve adeguatamente informarsi. Deve essere cosciente dei propri diritti, ma anche dei riflessi delle proprie scelte sulla vita degli altri. Se è mancanza di carità l’agire affinché alcuni siano esclusi dal progresso sociale, è certamente una grave omissione già il solo disinteressarsi degli effetti del proprio agire su chi ci è accanto. Alla formazione individuale deve necessariamente seguire un discernimento comunitario, che nel caso dell’A.C. passa anche attraverso i consigli parrocchiali. Il laico cristiano deve, inoltre, impegnarsi ad eliminare le condizioni del bisogno sociale, economico, culturale. Chi è nel bisogno è più facilmente vittima del fenomeno corruttivo. Anche chi non ha scelto come prioritario l’impegno partitico o sindacale non può disinteressarsi al fratello che soffre, anche solo per mancanza di conoscenze. Alla formazione-informazione ed alla sensibilità verso gli “ultimi” deve necessariamente far seguito la vicinanza ai politici “cattolici”. Troppo spesso i cattolici che scelgono di impegnarsi in politica sono, una volta assurti a ruoli decisionali, lasciati a se stessi. Troppi pensano ancora che fare politica significa accantonare il proprio cammino di fede. Non possiamo dimenticare le parole di papa Paolo VI, che considerava la politica “la più alta forma di carità”. Come non lasciamo soli i missionari, così non dobbiamo lasciare soli i politici cristianamente ispirati. La formazione, l’attenzione agli ultimi e la vicinanza ai politici, devono tramutarsi in “presenza attiva”. Il “voto cosciente” già è un utile strumento nelle mani dei laici cattolici, ma ciò non basta. Alla vigilanza, spesso, deve seguire la denuncia, che deve, però, essere solo prodromo alla proposta politica ed alla mediazione, che quando ha come fine in bene comune è sempre da preferire. La formazione, individuale e comunitaria, l’attenzione agli ultimi, la vicinanza ai politici e la “presenza attiva” nella vita della città sono gli atteggiamenti e le prassi che qualsiasi consiglio parrocchiale di A.C. deve fare propri e deve cercare di diffondere anche all’interno dei consigli pastorali e degli affari economici. La c.d. “scelta religiosa”, non può essere un limite all’impegno per rendere la “città terrena” immagine della “città celeste”. Non basta educare le nuove generazioni, è necessario preparar loro un “mondo migliore” e questo lo si fa con una “partecipazione critica” alla vita economica, sociale, culturale, in una parola “politica” delle nostre città. I laici cattolici non possono solo parlare e ragionare di legalità, devono essere lievito positivo in tutti quei luoghi dove più facilmente può attecchire la prassi corruttiva.
Raffaele Dobellini